Tag: politica

I sentimenti collettivi di insicurezza

Memmo Carotenuto e Vittorio Gassman ne "I soliti ignoti" (1958)

Memmo Carotenuto e Vittorio Gassman ne “I soliti ignoti” (1958)

Ciò che appare davvero sorprendente, e che dà senso a quel che accade — sul versante della giustizia penale e del carcere — in tutto il ventennio [1990-2010] è il mutamento dell’opinione pubblica (o in come essa viene rappresentata). Quella stessa società civile che per i primi quarant’anni della storia dell’Italia repubblicana ha tollerato, senza mai farne ragione di scandalo, il governo del sistema penale e penitenziario sulla base dell’uso routinario della clemenza, diventato un τόπος della commedia all’italiana (amnistiato era il Memmo Carotenuto de I soliti ignoti così come Marcello Mastroianni in Divorzio all’italiana), avverte ora come intollerabile il ricorso ad un simile strumento, mostrando piuttosto una propensione opposta, alla severità nel giudizio penale così come nell’esecuzione.
Concludendo la sua ricostruzione della criminalità punita nell’Italia del XX secolo, limitata temporalmente più o meno da dove siamo partiti noi, cioè nella prima metà degli anni Novanta, Massimo Pavarini notava che lungo tutta la seconda metà del Novecento la peculiarità della situazione italiana poteva essere individuata nel fatto che la domanda di penalità era stata debole a livello sociale: «per lungo tempo e diversamente da quanto è dato registrare in altre realtà nazionali, i sentimenti collettivi di insicurezza hanno avuto modo di esprimersi come domanda politica di cambiamento». E quindi «la comunicazione sociale attraverso il vocabolario della politica ha favorito una costruzione sociale del disagio e del conflitto al di fuori delle categorie morali della colpa e della pena». Questa eccezione, se di eccezione si è trattato, viene meno nell’Italia di fine secolo.
L’iniziativa di Craxi sulla droga fu anticipatrice. Poi, per tutto il corso del ventennio, dominante è stata l’associazione del fenomeno dell’immigrazione con quello della criminalità e il continuo ritornare dell’insicurezza urbana, fino al riconoscimento legale (ma, per fortuna, ineffettivo) delle ronde dei cittadini.
Sotto la coltre del conflitto politica-giustizia messo in scena ai piani alti del sistema istituzionale, si consumava quindi uno spostamento di fuoco delle politiche penali e di sicurezza verso il controllo e la repressione della marginalità sociale. Il tema non è nuovo e non è peculiare della vicenda italiana. Zygmunt Bauman l’ha sintetizzato nel rovesciamento del freudiano disagio della civiltà moderna: nella modernità liquida, il mutamento di equilibrio tra libertà e sicurezza produce una domanda di protezione dei rischi della libertà indirizzato il controllo dei marginali, individuati come fattori di turbativa di un precario equilibrio sociale. Il governo non contro ma attraverso il crimine (e le risorse politico simboliche che la lotta ad esso offre) diventa una straordinaria risorsa di legittimazione di un sistema politico incapace di performances significative e privo di una legittimazione sociale forte.
Se vincenti sono i canoni populistici della democrazia immediata, il diritto e giustizia penale costituiscono una risorsa essenziale per tenere viva una connessione tra potere e popolo. Il diritto penale è diritto simbolico per eccellenza: nonostante ogni cautela garantista esso mette in scena la vendetta contro chi ha infranto la legge, ha turbato l’ordine costituito, ha minacciato la comunità. «La pena — scriveva Durkheim — non serve ­— o non serve che secondariamente — a correggere il colpevole o a intimidire i suoi possibili imitatori; da questo punto di vista è giustamente dubbia, e in ogni caso mediocre. La sua vera funzione è di mantenere intatta la coesione sociale, conservando alla coscienza comune tutta la sua vitalità».
Nello sgretolamento del modello sociale protettivo che era stato del welfare europeo della seconda metà del Novecento, il linguaggio della colpa e della pena, le istituzioni penitenziarie e quello del controllo sociale coattivo sono tornati in auge a compensare il disorientamento della civiltà post-moderna e la fragilità delle istituzioni.

Stefano Anastasia, “Materialità del simbolico: i depositi del populismo penale nel continuum penitenziario”, in “Populismo penale: una prospettiva italiana”, 2015

Ken Livingstone

By Sam Blacketer (Own work) [CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) or GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)], via Wikimedia Commons

By Sam Blacketer [CC-BY-SA-3.0 or GFDL], via Wikimedia Commons

Livingstone has consistently rejected being defined under any particular ideological current of socialism. Recognising this, in 2000, the former Labour Party leader Neil Kinnock asserted that Livingstone could only be defined as a “Kennist”. Livingstone’s understanding of politics arises from his studies of animal behaviour and anthropology; rejecting the idea that the human species is naturally progressing (a view advocated by socialists like the Fabian Society), Livingstone instead took the view that human society is still coming to terms with the massive socio-economic changes that it experienced upon the development of agriculture during the Neolithic. Highlighting that a hunter-gatherer mode of subsistence is more natural to the human species, he believes that modern society has to adopt many hunter-gatherer values – namely mutual co-operation and emphasis on human relationships rather than consumerism – in order to survive.

Livingstone ha costantemente rifiutato qualsiasi etichetta relativa ad una specifica corrente ideologica socialista. Nel 2000 l’ex-leader del Partito Laburista Neil Kinnock lo ha riconosciuto affermando che Livingstone può essere definito solo come “Kennista”. La visione politica di Livingstone nasce dai suoi studi sul comportamento animale e sull’antropologia; rifiutando l’idea che la specie umana progredisca naturalmente (un’idea sostenuta da socialisti come la Società Fabiana), Livingstone ha invece adottato l’idea che la società umana stia ancora scendendo a patti con gli enormi cambiamenti socioeconomici incontrati con lo sviluppo dell’agricoltura durante il Neolitico. Sottolineando che un modo di sussistenza da cacciatori-raccoglitori è più naturale per la specie umana, Livingstone sostiene che la società moderna, per sopravvivere, dovrebbe adottare molti valori dei cacciatori-raccoglitori – in modo particolare la mutua cooperazione e l’accento sulle relazioni umane piuttosto che sul consumismo.

(Wikipedia contributors, ‘Ken Livingstone’, Wikipedia, The Free Encyclopedia, 28 August 2013, 11:49 UTC [accessed 21 September 2013])

Le masse e i movimenti totalitari

©Rama - CC BY-SA
©Rama – CC BY-SA

Totalitarian movements are possible wherever there are masses who for one reason or another have acquired the appetite for political organization. Masses are not held together by a consciousness of common interest and they lack that specific class articulateness which is expressed in determined, limited, and obtainable goals. The term masses applies only where we deal with people who either because of sheer numbers, or indifference, or a combination of both, cannot be integrated into any organization based on common interest, into political parties or municipal governments or professional organizations or trade unions. Potentially, they exist in every country and form the majority of those large numbers of neutral, politically indifferent people who never join a party and hardly ever go to the polls. It was characteristic of the rise of the Nazi movement in Germany and of the Communist movements in Europe after 1930 that they recruited their members from this mass of apparently indifferent people whom all other parties had given up as too apathetic or too stupid for their attention. The result was that the majority of their membership consisted of  people who never before had appeared on the political scene. This permitted the introduction of entirely new methods into political propaganda, and indifference to the arguments of political opponents; these movements not only placed themselves outside and against the party system as a whole, they found a membership that had never been reached, never been “spoiled” by the party system. […]
The success of totalitarian movements among the masses meant the end of two illusions of democratically ruled countries in general and of European nation-states and their party system in particular. The first was that the people in its majority had taken an active part in government and that each individual was in sympathy with one’s own or somebody else’s party. On the contrary, the movements showed that the politically neutral and indifferent masses could easily be the majority in a democratically ruled country, that therefore a democracy could function according to rules which are actively recognized by only a minority. The second democratic illusion exploded by the totalitarian movements was that these politically indifferent masses did not matter, that they were truly neutral and constituted no more than the inarticulate backward setting for the political life of the nation. Now they made apparent what no other organ of public opinion had ever been able to show, namely, that democratic government had rested as much on the silent approbation and tolerance of the indifferent and inarticulate sections of the people as on the articulate and visible institutions and organizations of the country. Thus when the totalitarian movements invaded Parliament with their contempt for parliamentary government, they merely appeared inconsistent: actually, they succeeded in convincing the people at large that parliamentary majorities were spurious and did not necessarily correspond to the realities of the country, thereby undermining the self-respect and the confidence of governments which also believed in majority rule rather than in their constitutions.

I movimenti totalitari sono possibili ovunque ci siano masse che per un motivo o un altro hanno acquisito il desiderio di organizzarsi politicamente. Le masse non sono tenute insieme da una coscienza di interesse comune e non hanno l’articolazione specifica delle classi che si esprime in obiettivi fissati, limitati, e ottenibili. Il termine “masse” si applica solo quando abbiamo a che fare con persone che per cause semplicemente numeriche, o per indifferenza, o per una combinazione di entrambi, non possono essere integrate in alcuna organizzazione basata su un comune interesse, in partiti politici, governi locali, organizzazioni professionali o sindacati. Potenzialmente, esse esistono in tutti i Paesi e costituiscono la maggioranza di quel gran numero di persone neutrali e politicamente indifferenti che non aderiscono ad un partito e quasi mai partecipano alle elezioni. Una caratteristica della nascita del movimento nazista in Germania e dei movimenti comunisti in Europa dopo il 1930 fu l’aver reclutato i loro membri da questa massa di persone apparentemente indifferenti che tutti gli altri partiti avevano abbandonato come troppo apatici o troppo stupidi per meritare la loro attenzione. Il risultato fu che la maggior parte dei loro membri consisteva in persone che mai prima d’ora erano apparse sulla scena politica. Ciò ha permesso l’introduzione di metodi completamente nuovi nella propaganda politica, e l’indifferenza agli argomenti degli avversari politici; questi movimenti non solo si ponevano al di fuori e contro il sistema dei partiti nel suo complesso, ma hanno trovato un un serbatoio di membri che non erano mai stati raggiunti, né “corrotti” dal sistema dei partiti. […]
Il successo dei movimenti totalitari fra le masse significò la fine di due illusioni dei Paesi a governo democratico in generale e degli Stati-nazione europei e del loro sistema partitico in particolare. La prima era che il popolo in maggioranza aveva preso parte attiva al governo e che ogni individuo era in sintonia con questo o quel partito. Al contrario, i movimenti mostrarono che le masse neutrali e politicamente indifferenti potevano facilmente essere la maggioranza in un paese governato democraticamente, e che pertanto una democrazia può funzionare secondo regole che sono attivamente riconosciute solo da una minoranza. La seconda illusione democratica demolita dai movimenti totalitari era che queste masse politicamente indifferenti non avevano importanza, che erano realmente neutrali e costituivano niente più che la scenografia arretrata e sconnessa per la vita politica della nazione. A quel punto essi resero evidente ciò che nessun altro organo della pubblica opinione era mai stato in grado di dimostrare, cioè che il governo democratico aveva poggiato sull’approvazione silenziosa e sulla tolleranza dei settori indifferenti e sconnessi del popolo tanto quanto sulle istituzioni e organizzazioni articolate e visibili del Paese. Così, quando i movimenti totalitari invasero il Parlamento con il loro disprezzo per il governo parlamentare, sembrarono solo incoerenti: in realtà riuscirono a convincere il grande pubblico che le maggioranze parlamentari erano false e non corrispondevano necessariamente alla realtà del Paese, minando in tal modo il rispetto di sé e la sicurezza dei governi che già da parte loro credevano più nel dominio della maggioranza che nelle costituzioni.

(Hannah Arendt, The origins of totalitarianism, 1951-1958)

Ricetta per l’obbedienza

Ten Lessons from the Milgram Studies: Creating Evil Traps for Good People

Let’s outline some of the procedures in this research paradigm that seduced many ordinary citizens to engage in this apparently harmful behavior. In doing so, I want to draw parallels to compliance strategies used by “influence professionals” in real-world settings, such as salespeople, cult and military recruiters, media advertisers, and others .There are ten methods we can extract from Milgram’s paradigm for this purpose:

  1. Prearranging some form of contractual obligation, verbal or written, to control the individual’s behavior in pseudolegal fashion. (In Milgram’s experiment, this was done by publicly agreeing to accept the tasks and the procedures.)
  2. Giving participants meaningful roles to play (“teacher,” “learner”) that carry with them previously learned positive values and automatically activate response scripts.
  3. Presenting basic rules to be followed that seem to make sense before their actual use but can then be used arbitrarily and impersonally to justify mindless compliance. Also, systems control people by making their rules vague and changing them as necessary but insisting that “rules are rules” and thus must be followed (as the researcher in the lab coat did in Milgram’s experiment or the SPE guards did to force prisoner Clay-416 to eat the sausages).
  4. Altering the semantics of the act, the actor, and the action (from “hurting victims” to “helping the experimenter,” punishing the former for the lofty goal of scientific discovery)—replacing unpleasant reality with desirable rhetoric, gilding the frame so that the real picture is disguised. (We can see the same semantic framing at work in advertising, where, for example, bad-tasting mouthwash is framed as good for you because it kills germs and tastes like medicine is expected to taste.)
  5. Creating opportunities for the diffusion of responsibility or abdication of responsibility for negative outcomes; others will be responsible, or the actor won’t be held liable. (In Milgram’s experiment, the authority figure said, when questioned by any “teacher,” that he would take responsibility for anything that happened to the “learner.”)
  6. Starting the path toward the ultimate evil act with a small, seemingly in- significant first step, the easy “foot in the door” that swings open subsequent greater compliance pressures, and leads down a slippery slope. (In the obedience study, the initial shock was only a mild 15 volts.) This is also the operative principle in turning good kids into drug addicts, with that first little hit or sniff.
  7. Having successively increasing steps on the pathway that are gradual, so that they are hardly noticeably different from one’s most recent prior action. “Just a little bit more.” (By increasing each level of aggression in gradual steps of only 15-volt increments, over the thirty switches, no new level of harm seemed like a noticeable difference from the prior level to Milgram’s participants.)
  8. Gradually changing the nature of the authority figure (the researcher, in Milgram’s study) from initially “just” and reasonable to “unjust” and demanding, even irrational. This tactic elicits initial compliance and later confusion, since we expect consistency from authorities and friends. Not acknowledging that this transformation has occurred leads to mindless obedience (and it is part of many “date rape” scenarios and a reason why abused women stay with their abusing spouses).
  9. Making the “exit costs” high and making the process of exiting difficult by allowing verbal dissent (which makes people feel better about themselves) while insisting on behavioral compliance.
  10. Offering an ideology, or a big lie, to justify the use of any means to achieve the seemingly desirable, essential goal. (In Milgram’s research this came in the form of providing an acceptable justification, or rationale, for engaging in the undesirable action, such as that science wants to help people improve their memory by judicious use of reward and punishment.) In social psychology experiments, this tactic is known as the “cover story” because it is a cover-up for the procedures that follow, which might be challenged because they do not make sense on their own. The real-world equivalent is known as an “ideology.” Most nations rely on an ideology, typically, “threats to national security,” before going to war or to suppress dissident political opposition. When citizens fear that their national security is being threatened, they become willing to surrender their basic freedoms to a government that offers them that exchange. Erich Fromm’s classic analysis in Escape from Freedom made us aware of this trade-off, which Hitler and other dictators have long used to gain and maintain power: namely, the claim that they will be able to provide security in exchange for citizens giving up their freedoms, which will give them the ability to control things better.

Such procedures are utilized in varied influence situations where those in authority want others to do their bidding but know that few would engage in the “end game” without first being properly prepared psychologically to do the “unthinkable.” In the future, when you are in a compromising position where your compliance is at stake, thinking back to these stepping-stones to mindless obedience may enable you to step back and not go all the way down the path—their path. A good way to avoid crimes of obedience is to assert one’s personal authority and always take full responsibility for one’s actions.

Dieci lezioni dagli studi di Milgram: creare trappole di malvagità per brave persone

Vediamo di delineare alcune delle procedure di questo paradigma di ricerca che hanno indotto molti normali cittadini ad assumere una condotta in apparenza così grave. Nel far questo, voglio tracciare dei paralleli con le strategie di compiacenza usate da professionisti dell’influenza in situazioni reali, come venditori, reclutatori di sette e dell’esercito, pubblicitari, e così via. Ci sono dieci metodi che possiamo estrarre dal paradigma di Milgram per questo scopo:

  1. Predisporre qualche forma di obbligo contrattuale, orale o scritto, per controllare il comportamento dell’individuo in uno stile pseudolegale. (Nell’esperimento di Milgram, ciò veniva fatto con l’accordo esplicito ad accettare compiti e procedure.)
  2. Dare ai partecipanti dei ruoli significativi da interpretare (“insegnante”, “allievo”) che portano con sé dei valori positivi già noti in precedenza e che attivano automaticamente dei copioni di risposta.
  3. Presentare delle regole di base da seguire che sembrino aver senso prima di essere effettivamente usate, ma che possano poi essere impiegate arbitrariamente e in modo impersonale per giustificare una compiacenza meccanica. Inoltre, i sistemi controllano le persone rendendo le proprie regole vaghe e cambiandole secondo necessità, ma insistendo che “le regole sono regole” e quindi devono essere seguite (come faceva il ricercatore in camice da laboratorio nell’esperimento di Milgram, o le guardie dell’esperimento di Stanford per obbligare il prigioniero Clay-416 a mangiare le salsicce).
  4. Alterare la semantica dell’atto, dell’attore e dell’azione (da “far male alle vittime” a “aiutare lo sperimentatore”, punendo le suddette per il nobile traguardo della scoperta scientifica)—rimpiazzando la spiacevole realtà con una retorica apprezzabile, decorando la cornice in modo da nascondere il quadro reale. (Possiamo vedere la stessa inquadratura semantica al lavoro nella pubblicità, dove, per esempio, un collutorio dal cattivo sapore è mostrato come utile perché uccide i germi e ha il sapore che ci si aspetta da una medicina.)
  5. Creare opportunità per la diffusione di responsabilità o la sua abdicazione in caso di esiti negativi; altri saranno responsabili, o l’attore non dovrà risponderne. (Nell’esperimento di Milgram, la figura d’autorità diceva, di fronte ai dubbi dell'”insegnante”, che si sarebbe assunta la responsabilità per tutto ciò che accadeva all'”allievo”.)
  6. Iniziare il percorso verso l’atto malvagio finale con un piccolo passo apparentemente insignificante, il semplice “piede nella porta” che apre alle seguenti, e più grandi, pressioni per la compiacenza, e conduce giù per una brutta china. (Nello studio sull’obbedienza, lo shock iniziale era lieve, di soli 15 volt.) Questo è anche il principio operativo nel trasformare bravi ragazzi in tossicodipendenti, con quel primo piccolo buco o sniffata.
  7. Avere dei passi via via più grandi in modo graduale, così che siano difficilmente distinguibili dall’ultima azione eseguita. “Solo un altro po’.” (Aumentando gradualmente ciascun livello di solo 15 volt in più, lungo i 30 interruttori, per i partecipanti alla prova di Milgram nessun nuovo livello di danno sembrava differire in modo rilevante dal livello precedente.)
  8. Cambiare gradualmente la natura della figura di autorità (il ricercatore, nello studio di Milgram), all’inizio “giusto” e ragionevole, fino a “ingiusto” ed esigente, persino irrazionale. Questa tattica ottiene inizialmente compiacenza e successivamente confusione, dato che ci attendiamo da autorità e amici un comportamento coerente. Non riconoscere il verificarsi di questa trasformazione porta all’obbedienza automatica (ed è parte di molti scenari di stupri da parte di nuove conoscenze, e una ragione per cui le donne vittime di abusi rimangono con i coniugi che abusano di loro.)
  9. Rendere i “costi di uscita” alti e rendere difficile il processo di uscita permettendo il dissenso verbale (facendo sentire meglio le persone riguardo alla propria responsabilità) insistendo al contempo sulla compiacenza nei comportamenti.
  10. Offrire un’ideologia, o una grande bugia, per giustificare l’uso di ogni mezzo per raggiungere il traguardo apparentemente desiderabile ed essenziale. (Nella ricerca di Milgram ciò avveniva nella forma di una giustificazione accettabile, o ragione, per partecipare ad un’azione indesiderabile, come il fatto che la scienza vuole aiutare le persone a migliorare la propria memoria con un uso giudizioso di ricompensa e punizione.) Negli esperimenti di psicologia sociale, questa tattica è nota come “la copertura” delle procedure, che potrebbero essere contestate in quanto di per sé prive di senso. L’equivalente nel mondo reale è nota come “ideologia”. La maggior parte delle nazioni si affidano ad un’ideologia, tipicamente, “minacce per la sicurezza nazionale”, prima di andare in guerra o per sopprimere l’opposizione politica e il dissenso. Quando i cittadini temono che la loro sicurezza nazionale sia minacciata, accettano di consegnare le loro libertà fondamentali ad un governo che offre uno scambio di questo tipo. La classica analisi di Erich Fromm in Fuga dalla libertà ci ha reso consapevoli di questo compromesso che Hitler e altri dittatori hanno a lungo usato per raggiungere e conservare il potere: nello specifico, l’affermazione che sarebbero stati in grado di fornire sicurezza in cambio della rinuncia, da parte dei cittadini, delle libertà, in modo da poter controllare meglio le cose.

Procedure simili sono utilizzate in varie situazioni basate sull’influenza dove le autorità vogliono che gli altri facciano la loro scommessa ma sanno che pochi parteciperebbero al “gioco finale” senza prima essere adeguatamente preparati psicologicamente a commettere “l’impensabile”. In futuro, quando vi trovate in una posizione compromettente dove è in gioco la vostra compiacenza, ripensare a questi passi verso l’obbedienza cieca può consentirvi di fare un passo indietro e non seguire fino in fondo il percorso—il loro percorso. Un buon modo per evitare crimini di obbedienza è sostenere la propria autorità personale e assumersi sempre la piena responsabilità per le proprie azioni.

(Philip Zimbardo, The Lucifer Effect: Understanding How Good People Turn Evil, 2007)

Derivati agricoli

The notion of progress is a creation of agriculture. I can’t prove it, because the idea of progress is too deeply burned into us to be extracted and examined. It is our secular religion. […] The political system cannot be counted on to reform agriculture because the political system is a creation of agriculture, a co-evolved entity.

Il concetto di progresso è una creazione dell’agricoltura. Non posso dimostrarlo, perché l’idea di progresso è impressa troppo a fondo dentro di noi per essere estratta ed esaminata. È la nostra religione laica. […] Non si può contare sul sistema politico per riformare l’agricoltura perché il sistema politico è una creazione dell’agricoltura, un’entità che si è coevoluta.

(Richard Manning, Against the Grain – How agriculture hijacked civilization, 2004)

DonZauker.it: 8 x 1000

Mi pare doveroso metterlo pure qui.

(in origine l’abbiamo pubblicato qui)

“La confusione sarà il mio epitaffio”

A: […] Siccome per loro la guerra è la re-li-gio-ne…

B: Ma perché non devono poter pregare?

A: Hanno costruito moschee in tutte le città d’Italia!

B: Tranne a Livorno, allora.

A: Come?

B: [Citando il quotidiano locale di qualche giorno prima] “L’imam chiede la moschea”.

A: E la sinagoga cos’è?

(Frammento di conversazione udita stamattina. Mio malgrado, e non solo per il contenuto.)

Falsa libertà

The habitual passenger must adopt a new set of beliefs and expectations if he is to feel secure in the strange world where both liaisons and loneliness are products of conveyance. To “gather” for him means to be brought together by vehicles. He comes to believe that political power grows out of the capacity of a transportation system, and in its absence is the result of access to the television screen. He takes freedom of movement to be the same as one’s claim on propulsion. He believes that the level of democratic process correlates to the power of transportation and communications systems. He has lost faith in the political power of the feet and of the tongue. As a result, what he wants is not more liberty as a citizen but better service as a client. He does not insist on his freedom to move and to speak to people but on his claim to be shipped and to be informed by media. He wants a better product rather than freedom from servitude to it. It is vital that he come to see that the acceleration he demands is self-defeating, and that it must result in a further decline of equity, leisure, and autonomy.

Per sentirsi sicuro nello strano mondo dove sia le relazioni che la solitudine sono prodotti dei mezzi di trasporto, il passeggero abituale deve adottare un nuovo insieme di credenze e aspettative. “Riunirsi” per lui significa essere collegati da veicoli. Arriva a credere che il potere politico discenda dalla capacità di un sistema di trasporto, e che in sua assenza sia il risultato dell’accesso allo schermo televisivo. Assume che la libertà di movimento sia un tutt’uno con un diritto alla propulsione. Crede che il livello del processo democratico sia correlato alla potenza dei sistemi di trasporto e  di comunicazione. Ha perso la fede nel potere politico dei piedi e della lingua. Come risultato, ciò che desidera non è più libertà come cittadino ma un miglior servizio come cliente. Non esige la propria libertà di muoversi e di parlare alla gente, ma la pretesa di essere trasferito e informato dai mezzi di massa. Vuole un prodotto migliore, piuttosto che la libertà dall’asservimento al prodotto. È cruciale che arrivi a capire che l’accelerazione da lui richiesta è frustrante, e che inevitabilmente porta ad un ulteriore declino dell’equità, del tempo libero e dell’autonomia.

(Ivan Illich, “Energy and equity”, in Toward a History of Needs, 1977)

All’On. Stefano Pedica, senatore IDV

Leggo su Repubblica.it una Sua dichiarazione riguardo alla questione delle Frecce Tricolori:

L’Idv: “Prendiamo ordini dai beduini”. ”I piloti delle nostre frecce tricolori obbligati a decollare e ad omaggiare uno Stato che non riconosce i diritti umani – aveva affermato il senatore dell’Italia dei Valori, Stefano Pedica in mattinata – che chiede tangenti al nostro Paese, cinque miliardi di euro, per non far sbarcare i clandestini, e per non riaccendere la loro matrice terrorista. Prendiamo ordini dai beduini e non dal Ministro La Russa, una vergogna che se ne dovrà discutere in Parlamento subito convocando le commissioni difesa”.

Spero che vorrà smentire o ritrattare una dichiarazione con termini francamente razzisti (“beduini”) che si addicono alla Lega Nord, non ad un senatore del partito che ho votato.
Io sono d’accordissimo sull’uso di un vocabolario che dica pane al pane e vino al vino, e che definisca ad esempio “fascista” questo governo senza nascondersi dietro ad un dito. Ma usare la parola “beduino” a mo’ di insulto è ingiustificabile.

Ho inviato questo messaggio alla bacheca del senatore sul sito dell’Italia dei Valori. Vedo che già un’altra persona, poco dopo, ha rimproverato l’infelice uscita.
La biografia politica dell’On. Pedica si trova sulla Wikipedia italiana.

Le bugie, le bugie fottute, e le statistiche

Nuovo capitolo di informazione manipolata per quanto riguarda il “problema sicurezza”.

È di ieri l’allarme di Libero (non lo linko per boicottaggio):

L’allarme di Bucarest: in Italia il 40% dei nostri criminali
In Italia si è trasferito il 40% dei criminali rumeni sui quali pende un mandato di arresto internazionale: non è una dichiarazione del ministro degli Interni Maroni o di qualche leghista, ma quella del ministro della Giustizia romeno, Catalin Predoiu. […]  Se il 40% dei criminali ha trovato rifugio nel nostro Paese, per Predoiu è anche colpa delle lunghe procedure di estradizione: da qui l’invito ai magistrati italiani ad accelerare le procedure.

Mentre Repubblica.it si esprime come segue:

Romania, 40% dei ricercati è in Italia – Frattini: tolleranza zero, più collaborazione
Mentre i due ministri si incontravano a Bruxelles e poi a Roma, il governo romeno forniva le cifre: in Italia si trovano attualmente circa 2.700 cittadini romeni che sono in carcere in attesa di giudizio o condannati in via definitiva, e sempre sul territorio italiano si trova anche il 40% dei romeni ricercati con mandato internazionale. Lo ha dichiarato il ministro della Giustizia romeno, Catalin Preodiu, nel corso di una conferenza stampa a Bucarest, in cui ha sottolineato che le procedure per l’estradizione dei romeni ricercati “stanno incontrando difficoltà”. Il ministro ha quindi fatto appello ai “magistrati italiani a fare il possibile affinché le procedure vengano accelerate”.

Il dato colpisce talmente da porre qualche dubbio. Analizziamo quello che si ricava dalle informazioni trovate nei due articoli.

Punto primo: non si parla di ricercati in generale, si parla di ricercati con mandato internazionale, che sono una cosa diversa e rappresentano una parte del totale dei ricercati, ovvero quelli per cui è stato spiccato un apposito provvedimento e per cui si presume che possano aver cercato rifugio all’estero. Quindi non si parla del 40% di ricercati romeni, ma di una percentuale forse anche di molto inferiore. Su questo Libero depista a bella posta, mentre Repubblica adotta un titolo ambiguo.

Secondo punto: il fatto è che quando una persona legge ricercato subito pensa al latitante, ovvero una persona che è ricercata ma non si sa dov’è. Ma se non si sa dov’è, come si sa se si trova in Italia o altrove? E come è possibile fare una statistica in merito?

La mia interpretazione della parole del ministro romeno sono di segno decisamente diverso da quello che lasciano intendere Libero o Repubblica, ma anche la Gruber che ha riportato la notizia ieri a 8 e mezzo.

Non si tratta di ricercati latitanti, si tratta di ricercati arrestati dalle forze di polizia italiane e attualmente detenuti in carcere in attesa di essere estradati.

Per questo si può essere tanto precisi sulla loro distribuzione: le autorità romene hanno contato il numero di loro ricercati con mandato internazionale catturati all’estero, e hanno notato che il 40% di essi si trova in Italia. Un’interpretazione di questo tipo spiega perfettamente come si arrivi alla percentuale sbandierata, e spiega perché questo dato venga presentato insieme a dati sul numero di cittadini romeni detenuti nelle carceri italiane, sia condannati in via definitiva, sia in attesa di giudizio.
Nessuna delle frasi riportate parla di criminali a piede libero, ma vengono citati numeri e percentuali di persone in galera. Come del resto è normale: il ministro che ha tenuto la conferenza stampa è il ministro della giustizia, che quindi si occupa di processi e pene da scontare, non di arresto dei persone ricercate, che è competenza della polizia e quindi probabilmente del Ministero degli Interni, come accade in Italia. In questo contesto, l’affermazione sul 40% di ricercati sarebbe l’unica riguardante, in maniera peraltro non dimostrabile, di persone non detenute, ma anzi irreperibili.
Da notare che un ricercato con mandato internazionale arrestato in Italia potrebbe non aver fatto nulla, in Italia: probabilmente è ricercato per qualcosa fatto nel suo Paese, e non è detto che sia

  1. un reato che ha commesso, perché magari ancora il processo non è stato celebrato e la persona in questione non è stata condannata
  2. un reato che possa provocare allarme in Italia, perché potrebbe trattarsi di un tipico reato “non reiterabile” (es: delitto passionale o familiare, o simili).

Beninteso, non dico che sia un bene che sia qui, ma la sua stessa presenza non è necessariamente fonte di insicurezza in Italia, come ad esempio non lo era in Francia la presenza (a piede libero!) di Cesare Battisti o di altri ex-terroristi italiani. Difatti i francesi non hanno mai organizzato ronde anti-italiani perché un’elevata percentuale di ricercati italiani si trovava a piede libero su suolo francese.

Potrebbe però nascere l’obiezione: 40% però è una percentuale altissima, anche se si tratta di ricercati internazionali e non ricercati tout court, anche se si tratta di persone in galera e quindi ormai innocue, anche se si tratta solo di presunti criminali, non potrebbe significare che un’altissima percentuale di criminali romeni sceglie l’Italia piuttosto che altre destinazioni? È la tesi poco nascosta di Libero.

Altra probabile mistificazione: al di là della non rappresentatività della popolazione statistica (con quel dato si potrebbe sostenere anche che in Italia questi ricercati vengono arrestati in percentuale maggiore che altrove), sono le parole seguenti del ministro che fanno capire dove sta il busillis. Infatti la soluzione che propone è  che la giustizia italiana sia più rapida nell’estradizione.
Da questo si può dedurre una spiegazione logica ad una percentuale così alta: perché in Italia i processi e i procedimenti giudiziari, compresi quelli per l’estradizione (che non è automatica, ma passa da un tribunale1), sono talmente lenti che:

  • all’estero, un ricercato rumeno arriva, lo arrestano, e lo rimpatriano entro breve tempo;
  • in Italia, un ricercato rumeno arriva, lo arrestano, il rimpatrio però è lentissimo, e nel frattempo arrestano altri suoi simili, ecc. e si accumulano.

Ecco che l’informazione che si può dedurre dagli articoli, schivando aperte falsificazioni o ambiguità da giornalista pigro, che copia il lancio di agenzia senza verificare o ragionare su quello che gli capita tra le mani, è che (come sapevamo già) la nostra giustizia è lenta e inefficiente, tanto da bloccare anche il corso di quella romena, ed ecco il motivo della lamentela del ministro.

L’ennesima conferma che l’approccio emergenziale al “problema sicurezza” è del tutto inutile, perché non incide sui problemi reali, e che viene giustificato ad arte con una campagna di mistificazioni dirette a causare il panico tra i cittadini.

  1. Per la precisione, l’estradizione è competenza del Ministro di Giustizia, che può rifiutarla autonomamente: ma se vuole concederla, deve chiedere un parere alla Corte d’Appello competente, la quale emette una sentenza, ovviamente impugnabile in Cassazione. Tali pronunciamenti non sono però vincolanti, e il Ministro può negare l’estradizione anche in presenza di pronunciamento favorevole. Gli articoli del codice di procedura penale che riguardano l’iter sono 697 e seguenti. (grazie a Francesca Detti per la consulenza)